Andiamo a vedere la prima macrocategoria di sensori, detti cinematici perchè misurano un piccolo movimento, che possono essere divisi in sensori di spostamento, sensori di livello e sensori di prossimità. È una tipologia di sensori impiegata tantissimo in ambito industriale, perchè forniscono una misura particolare, ovvero la misura di posizione.
Per misura di posizione si intende la misura delle coordinate dell'oggetto rispetto ad un sistema di riferimento selezionato.
Lo spostamento è la misura della variazione di questa posizione nel tempo e può essere sia lineare sia angolare.
Per misura di spostamento si intende la misura della variazione delle coordinate dell'oggetto (lineari e/o angolari) da un punto all'altro.
Nel caso in cui l'oggetto fisico da misurare non sia un oggetto solido ma sia una massa liquida, allora i sensori di posizione o spostamento possono essere impiegati per determinare il livello del liquido (o la sua variazione nel tempo): in questo caso i sensori di spostamento vengono chiamati sensori di livello.
Un'altra tipologia di sensori all'interno di questa categoria sono i sensori di prossimità che sono particolari sensori di spostamento che misurano uno stato binario: misurano quanto qualitativamente si sta spostando un oggetto, ma forniscono la misura di un valore oltre una soglia di distanza e la misura di un altro valore quando ci si avvicina oltre una soglia limite di vicinanza. Può essere visto come un sensore di spostamento di natura binaria.
Un sensore di prossimità è una variante a soglia di un sensore di posizione, ovvero restituisce un valore diverso da zero solo nel momento in cui la posizione misurata è prossima ad un certo valore.
Andiamo ad analizzare i principi fisici di questi sensori: sono importanti perchè sono i meccanismi che mi permettono di fare il passaggio di trasduzione da un particolare dominio fisico (che nel caso dei sensori cinematici è la posizione) ad un altro dominio fisico che ci interessa, ovvero quello elettrico.
Nello specifico, andiamo a vedere i sensori di spostamento basati su effetto potenziometrico, variazione della capacità e variazione dell'induzione. Poi vedremo quelli di livello, ovvero ottici, ultrasuoni e microonde. Infine, molto velocemente, come questi principi possono essere utilizzati anche per i sensori di prossimità.
La prima tipologia di sensore è il sensore basato sulla differenza di resistenza, ovvero i sensori potenziometrici. La resistenza elettrica dipende, fondamentalmente, da due fattori: dal materiale costruttivo e dalla geometria del resistore.
Ricordiamo la relazione della resistenza, che ci dice che è uguale alla resistività che moltiplica la lunghezza del conduttore, fratto la sezione del conduttore stesso: .
La resistività si calcola come: , con campo elettrico, corrente e area della sezione del materiale (la formula della resistività non l'ha detta). Quindi la resistenza può variare perchè sta variando la resistività del materiale utilizzato, oppure perchè sta variando la lunghezza del conduttore che sto usando all'interno del mio sensore. La resistenza dipende linearmente dalla lunghezza del conduttore, quindi il sensore potenziometrico utilizza la misura della resistenza e la sua relazione con la lunghezza del conduttore per fare una trasduzione dal dominio di spostamento (lunghezza) al dominio elettico (resistenza). In realtà per misurare una resistenza siamo obbligati ad utilizzare una corrente: facciamo scorrere una corrente nel resistore e misuriamo la differenza di potenziale ai capi. Ecco che il sensore è per forza di cose un dispositivo attivo che dalla misura della tensione, in maniera indiretta, mi permette di conoscere la lunghezza del conduttore, con una caratteristica che è più o meno lineare.
Tutti i principi di funzionamento che vedremo partono da una relazione di questo tipo e il legame che intercorre tra la grandezza elettrica che leggiamo in uscita e la grandezza (il misurando) che ci compare in ingresso ci determina il funzionamento del sensore.
Se noi abbiamo la relazione tra e la formula di vista sopra, avremo in uscita , dove la lunghezza è il misurando , quindi . Succede che la grandezza la possiamo chiamare . La relazione che intercorre tra il misurando (lunghezza) e la tensione di output è e quindi è la mia sensibilità. La sensibilità è, quindi, data da , dalla sezione del conduttore e dalla corrente che io faccio transitare nel mio circuito. Tutto ciò per dire che dal principio fisico si possono estrarre le proprietà del sensore.
Come funziona in pratica un potenziometro?
Abbiamo un circuito all'interno del quale viene fatta scorrere la corrente. Abbiamo la nostra resistenza massima di misura e abbiamo un collegamento fisico che intercorre tra il sensore e il misurando. C'è proprio un collegamento fisico, un contatto strisciante: spostando il collegamento sul sensore, ho una lettura indiretta di quanto mi sono spostato. Per farlo sfrutto la relazione in figura: se è la tensione ai capi della spazzola (pezzo di resistenza che sto considerando), questa sarà uguale (regola del partitore) alla tensione di alimentazione per il rapporto tra il pezzo di resistenza che sto considerando, che è di lunghezza , e la lunghezza complessiva della resistenza , ovvero lo spostamento di fondo scala.
La spazzola di un potenziometro è tipicamente isolata elettricamente dall'oggetto misurato. I materiali costruttivi con cui può essere realizzato un potenziometro sono tipicamente: plastica conduttiva, film in carbonio, film metallico, mix ceramica-metallo (noto anche come cermet). Ognuno di questi materiali ha proprietà di usura più o meno buone.
Fisicamente il sensore è uno scatolotto cilindrico, a slider, oppure rotazionale: all'interno c'è il conduttore e poi c'è l'asta che andando indietro o in avanti muove lo slider o il cursore sul conduttore e la tensione letta caduta sulla resistenza è proporzionale allo spostamento dell'astina. Si può notare come nel primo caso, ovvero quello lineare ad asta, l'asta è a vite e, infatti, viene avvitato sull'oggetto che si sta spostando.
Ad esempio possiamo avere un macchinario con una bobina che fa avanti e indietro: la bobina è attaccata all'asta che permette di misurare tutti i suoi spostamenti.
L'asta è collegata all'oggetto che si sposta da un lato alla spazzola dall'altro (contatto meccanico), che va a contatto con la striscia conduttiva: nella parte superiore di quest'ultima ci sono i morsetti per dare alimentazione e i morsetti per andare a leggere la caduta di potenziale sul resistore. I morsetti possono essere esposti o collassati all'interno di un filo. L'informazione elettrica che ricaviamo è di tipo analogico, cioè all'uscita dal sensore noi leggiamo , ma sapendo posso stimare di quanto mi sono spostato. Per andare a leggere bene la tensione di uscita c'è bisogno di un circuito di condizionamento (lo studieremo più avanti).
Che risoluzione ha questo tipo di sensore? La risoluzione è il minimo spostamento che si trasforma in un cambiamento di resistenza. Qual è il minimo spostamento valutabile da questo sensore? Da cosa dipende? È uno slider che tocca una resistenza: se lo sposto anche di pochissimo comunque la resistenza cambia. A prescindere dallo spostamento, il sensore, dal punto di vista meccanico, è in grado di rilevarlo: la risoluzione di questi sensori è definita nei data sheet come infinitesimale. Riescono, quindi, a misurare qualunque tipo di variazione di lunghezza. Il limite reale della risoluzione non è qui, ma è nel circuito di condizionamento che vado ad usare per misurare la caduta di tensione. Quindi la risoluzione non sarà propria del sensore, ma sarà quella del sensore più condizionamento, ovvero del dispositivo di misura. Quindi dipende da quanto "bene" riesco a misurare la caduta di tensione ai capi del morsetto.
La corrente, invece, mi va ad influire sulla sensibilità del sensore: se uso correnti grandi, avrò cadute di tensione più grandi, quindi avrò una sensibilità maggiore. Ovviamente è chiaro che più corrente gli fornisco, più il sensore consuma, quindi c'è un trade-off tra la sensibilità massima auspicabile e il consumo del sensore. Questi sensori normalmente devono andare in linea, non sono collegati ad un generatore di corrente ma spesso sono autoalimentati dalla tensione del bus di comunicazione a cui è collegato.
Il contatto, invece che essere strisciante ovvero continuamente aggangato, che quindi chiude il circuito elettrico sulla resistenza, è un contatto che viene chiuso quando una membrana conduttiva, saparata dalla parte metallica sottostante da un'intercapedine neutra, viene premuta in modo da creare il contatto.
Quindi, il sensore è composto da due strati: lo strato superiore, che è un foglio di plastica flessibile con superficie metallizzata e lo strato inferiore, rigido e ricoperto da un materiale resistivo.
Entrambi gli strati sono connessi all'interno di un circuito elettrico. Nel momento in cui una pressione esterna come un dito o un arto robotico o un pistone va a schiacchiare la membrana, si forma un arco elettrico tra la parte superiore e quella inferiore: qui si va a creare una resistenza, il circuito si chiude, quindi la corrente scorre e torna "indietro". Misurando la caduta di tensione sulla tensione, solita regola del partitore di corrente, riesco a capire la distanza alla quale si è chiuso il circuito.
Esempio: il touchscreen. Adesso sono di natura capacitiva, ma i primi che sono stati realizzati si basavano sul principio potenziometrico. C'era una matrice x-y e in base a dove premevo si stimava la posizione lungo i due assi e quindi il pixel dove si andava ad agire.
Anche questi sensori si trovano sia lineari che rotazionali.
Il costo di questi sensori è un pregio, in quanto sono molto economici.
Il problema è che questi sensori, per funzionare, necessitano di essere collegati all'oggetto che si vuole misurare. Si dice che c'è un accoppiamento meccanico diretto tra sensore e oggetto: è un difetto perchè non basta appoggiarlo, va proprio collegato.
Un altro difetto è che c'è la spazzola: è un attrito tra due materiali conduttori che crea calore. Questo sensore per fornire una misura deve essere attraversato da corrente, che quando attraversa a sua volta una resistenza crea calore per effetto Joule. Sommando queste due cose, i sensori potenziometrici sono sensori che scaldano e affetti da usura. Ovviamente, usurandosi tendono a rompersi.
Ecco che a fronte di un costo basso, sono sensori che richiedono un accoppiamento meccanico diretto e che, per natura costruttiva, tendono ad usurarsi. Inoltre, per quanto si possa far variare velocemente il carrellino o l'astina, le misure che possono essere fatte sono a bassa velocità: ho bisogno di tempo per leggere l'uscita dopo il condizionamento in maniera corretta, quindi ho necessità che la variazione dello spostamento, ovvero la velocità, non sia troppo elevata.
Riassumendo:
È un sensore che ha qualche pregio, ma tanti difetti.
Per andare ad ovviare a questa tipologia di difetti abbiamo una sola soluzione: cambiare il principio fisico su cui si basa il sensore.
In questa tipologia di sensori andiamo a prendere in considerazione la capacità.
La capacità nel vuoto è definita formalmente come il rapporto tra la carica ai capi del capacitore e la differenza di potenziale sul capacitore . Ecco la formula: . Essenzialmente, è un elemento che accumula energia elettrica nel tempo. La capacità nel vuoto per un condensatore piano a facce piane e parallele è pari alla costante dielettrica del vuoto per l'area delle armature del condensatore , diviso la distanza tra le facce del condensatore . Ecco la formula della capacità del condensatore piano nel vuoto: .
In questo caso ci basiamo sul principio fisico per il quale la capacità dipende, in maniera inversamente proporzionale, dalla distanza tra le facce del condensatore.
La particolarità di questi sensori è che la variazione di capacità si può sentire su ogni tipo di materiale. Questa è un po' una fregatura, perchè è vero che la distanza tra le facce del condensatore mi fa variare la capacità, ma è anche vero che a cambiare la capacità è anche la presenza di un materiale che sia diverso dal vuoto. Già dal principio fisico possiamo intuire anche alcuni difetti.
La capacità dipende in maniera inversamente proporzionale alla distanza tra le facce del condensatore ma in modo direttamente proporzionale al materiale interposto tra le facce stesse (aggiungo , la costante dielettrica del materiale). La capacità di un condensatore piano è, quindi: .
Anche in questo caso abbiamo la necessità del passaggio di una corrente, non più continua come prima ma alternata, ma il vantaggio grande è che non è detto che devo richiedere l'accoppiamento tra l'oggetto e il sensore.
Quello che viene utilizzato tipicamente dei sensori capacitivi è il funzionamento a sonda.
La sonda è semplicemente un cilindretto agli estremi del quale c'è un cavo. Emette una radizione elettromagnetica ai capi di questo cilindretto, che non è altro che una faccia del condensatore. Avvicinando o allontanando il cilindro, ovvero la faccia del condensatore, dalla superficie che vogliamo misurare, considerando che questa superficie è comunque connessa a terra, si va a creare un circuito chiuso in cui la distanza tra misurando e sonda è inversamente proporzionale alla tensione che viene misurata dal mio dispositivo.
Altre fonti di errore sono causate dall'ambiente di utilizzo. Questi sensori capacitivi infatti devono essere utilizzati in ambienti puliti, è per questo motivo che vengono usati molto di più in ambito di ricerca che in ambito industriale, in modo da evitare che della sporcizia finisca di peggiorare la capacità del sensore (agendo sulla ).
Il principale vantaggio dell’utilizzo di un campo magnetico per la misura di posizione e spostamento risiede nel fatto che ogni materiale non magnetico può essere penetrato dal campo senza introdurre perdita di accuratezza. Un secondo importante vantaggio risiede nel fatto che i sensori induttivi possono lavorare in ambienti con condizioni estreme in quanto sia le sonde sia gli oggetti da misurare possono essere ricoperti con materiali inerti che non influenzano il campo magnetico.
I sensori induttivi basati sul primo metodo sono detti a riluttanza variabile, e si dividono in trasformatori lineari a differenziale variabile (LVDT) e trasformatori rotazionali a differenziale variabile (RVDT).
La differenza tra sensori LVDT e RVDT risiede solo nella geometria del nucleo ferromagnetico adottato e, di conseguenza, nella tipologia di misura che forniscono:
Il principio di funzionamento è lo stesso per entrambe le tipologie di sensore. In figura a destra vediamo un materiale ferromagnetico (nichel) che si può spostare tra le spire. Alimentando le spire con tensione sinusoidale, nel momento in cui il traferro è al centro si ottiene una differenza di potenziale nulla (come si può notare in basso a destra nello schema elettrico) e rappresenta lo zero del mio sensore di spostamento, poi eventuali spostamenti modificheranno la differenza di potenziale. Da un punto di vista applicativo si comporta come il potenziometro, solo che invece di avere un contatto strisciante ho induzione magnetica, quindi evito surriscaldamenti provocati dall'attrito.
La direzione dello spostamento è fornita dalla differenza di fase tra il segnale sinusoidale agente nel primario (il riferimento) e quello generato all’uscita del secondario.
Affinché un sensore LVDT sia in grado di misurare spostamenti transitori in maniera accurata è necessario che la frequenza di alimentazione sia almeno 10 volte più grande di quella del movimento: per spostamenti lentamente variabili nel tempo è possibile utilizzare direttamente la frequenza di rete (50 o 60 Hz).
I vantaggi principali dei sensori LVDT e RVDT sono i seguenti:
Si basano sul fenomeno elettrico delle correnti di Foucault. Esse si generano quando un conduttore è esposto a un campo magnetico variabile a seguito del moto relativo tra la sorgente di campo e il conduttore o quando l’intensità del campo magnetico varia nel tempo.
Entrambi i fenomeni sopra descritti causano la comparsa di una corrente all’interno del conduttore che genera un campo magnetico che si oppone alla variazione del campo magnetico originale a seguito della legge di Faraday-Neumann-Lenz: l’effetto netto di questa opposizione è una forza (attrattiva o repulsiva) tra il conduttore e il magnete.
Sensore capacitivo | Sensore Eddy |
Funziona sull’assunzione che la variazione della capacità sia dovuta alla variazione della distanza: tuttavia tale variazione potrebbe essere dovuta anche ad un cambiamento nella costante dielettrica (presenza di sporco tra sonda e oggetto da misurare). Più grande è la costante dielettrica del contaminante, maggiore sarà l’errore introdotto. A causa della sensibilità dei sensori capacitivi alla presenza di contaminanti, è importante usarli solo in ambienti puliti quando si vuole ottenere una misura di posizione o spostamento. | È basato sui campi magnetici che non risentono di contaminanti non conduttivi (olio, acqua o polvere): andrebbe quindi preferito in tutte le applicazioni in ambienti ostili o sporchi. Esistono anche sonde certificate che possono essere utilizzate completamente immerse in liquidi non corrosivi e non conduttivi. |
Il campo elettrico influenza solo la parte superficiale del bersaglio soggetto a misura: per questo motivo i sensori capacitivi possono essere utilizzati a prescindere dallo spessore del bersaglio da misurare. Il campo elettrico utilizza il bersaglio come via verso terra: tutti i materiali conduttivi funzionano relativamente bene per questo e, pertanto, questa tipologia di sensori funziona bene con tutti i materiali conduttivi una volta effettuata la calibrazione. | Il campo magnetico deve essere in grado di penetrare il bersaglio in modo da indurre le correnti: se il materiale è troppo sottile allora si generano correnti indotte di intensità ridotta, un campo magnetico conseguente debole e il sensore avrà una ridotta sensibilità e un basso rapporto segnale rumore; pertanto i sensori a corrente di Eddy richiedono che il bersaglio da misurare abbia uno spessore superiore ad una data soglia. A causa dell’elevata variabilità della permeabilità magnetica dei materiali deve essere calibrato ogni volta che si cambia il materiale da misurare. |
Le sonde capacitive, affette dal fenomeno di condensazione, possono essere usate in un range di temperature limitato, tipicamente 4-50°C. I sensori capacitivi possono essere usati senza problemi in ambienti con vuoto pneumatico. Il consumo tipico è dell’ordine di alcune decine di µW. La risoluzione è tipicamente maggiore rispetto ai sensori basati su corrente di Eddy, così come il costo. | I sensori a corrente di Eddy possono essere usati in un range di temperature elevato, tipicamente tra i -25° e i +125°. I sensori a corrente di Eddy possono essere usati senza problemi in ambienti con vuoto pneumatico. Il consumo tipico varia tra alcune decine di µW ad alcuni mW. La risoluzione è tipicamente minore rispetto ai sensori capacitivi, così come il costo. |
In pratica un chippettino che mi dice quando e quanto sono vicino ad un campo magnetico. Cit. Freddi
I sensori ad effetto Hall sono probabilmente tra i sensori induttivi più adoperati per la misura di posizione e spostamento (si basano sul principio fisico "effetto Hall"). Nella sua forma più semplice un dispositivo ad effetto Hall è costituito da:
Un sensore ad effetto Hall è di solito fornito all’interno di un alloggiamento con 4 terminali:
Come mostrato in figura di seguito possiamo dividere i sensori ad effetto Hall in analogici e a doppio livello.
I primi hanno un andamento lineare mentre i secondi (i più usati nella pratica) presentano un'isteresi che fa si che l'output dipende dalla direzione dello spostamento.